Sala degli Arazzi
(già Camera d’udienza della duchessa, poi Sala da ballo) L’ambiente, già parte dell’appartamento della duchessa nel Settecento, è poi utilizzato nell’Ottocento come sala da ballo: il suo sontuoso aspetto settecentesco è stato recuperato in seguito ai recenti restauri (2007). Gli eleganti stucchi dorati di Sanbartolomeo e Papa incorniciano medaglioni raffiguranti i miti di Apollo e Dafne e di Diana con la ninfa Procri, narrati nelle Metamorfosi di Ovidio. Nel 1763 il napoletano Francesco de Mura consegnava le sovrapporte raffiguranti le allegorie delle Quattro parti del mondo (l’Europa con i simboli della regalità, del papato e delle arti; l’Africa nera con il leone e l’elefante; l’Asia con l’incenso e il cammello; l’America come “indiana” con i pappagalli). Gli arazzi in lana e seta con filati metallici d’oro e d’argento furono tessuti intorno al 1615 da Philippe Maecht, su cartoni dei pittori Antoine Caron e Henry Lerambert, nella manifattura del Fauborg Saint-Marcel a Parigi. Il principe Vittorio Amedeo di Savoia li acquistò nel 1619 tramite il proprio ambasciatore a Parigi e gli arazzi giunsero a Torino nel 1621. Carlo Emanuele III li fece raccomodare a partire dal 1758 per collocarli in questa sala del “secondo appartamento” del duca del Chiablese. Altri pezzi della serie si trovano a Palazzo Reale; altri ancora furono dispersi e appartengono oggi a diverse collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero, dal castello di Blois al Timken Museum di San Diego, in California. Dei panni qui esposti, solo Gli araldi a cavallo e Le richieste del popolo sono integri; gli altri furono tagliati per adattarli agli spazi disponibili sulle pareti; un’entre-fenêtre (arazzo alto e stretto previsto per lo spazio tra due finestre) appartiene al ciclo originale, mentre un’altra (il Filosofo) fu tessuta appositamente per questa sala nel 1766 dalla manifattura torinese. I candelabri con amorini in bronzo dorato risalgono al riallestimento come sala da ballo alla metà dell’Ottocento: a questo stesso momento risalgono le fastose poltrone neobarocche, documentate però dalle fotografie d’inizio Novecento, in un’altra sala.